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Lettera di risposta all'articolo di Milena Gabanelli
Recentemente è stato pubblicato sulla pagina web del Corriere della Sera nella rubrica “Dataroom" di Milena Gabanelli un articolo dal titolo “Produrre più cibo non batterà la fame nel mondo” (https://bit.ly/2FP1ztC), che considera non più utile il miglioramento genetico per la produttività in quanto la fame nel mondo sarebbe dovuta esclusivamente ad un problema di distribuzione delle risorse. Di seguito è riportato il testo di risposta del Socio Sandro Vitale, Gruppo di Comunicazione della SIGA:
Il messaggio del servizio di Milena Gabanelli (https://bit.ly/2FP1ztC) è apparentemente molto sensato: numeri alla mano, è chiaro che oggi il problema della denutrizione di una parte della popolazione non dipende dalla scarsa produzione di alimenti globale ma dagli sprechi, dai conflitti e da una distribuzione viziata da ineguaglianze. Gli sforzi per aumentare quantità e qualità della produzione alimentare sono inutili. Tutti inutili, carne sintetica, OGM, incubatori di insetti o che altro. Nel servizio non si nominano mai gli scienziati: si accenna a una non meglio identificata “università della Finlandia”, ma soprattutto la ricerca sarebbe fatta da Bill Gates, da Google, dai giganti della chimica….non dagli scienziati delle università e istituzioni pubbliche. A parte questo piccolo (o forse grande) particolare, il messaggio è molto chiaro: l’orologio della ricerca scientifica per l’alimentazione va fermato alla data odierna e le risorse indirizzate verso un cambiamento della distribuzione e la diffusione della pace. Questa teoria è piuttosto diffusa e, per quanto riguarda agricoltura e alimentazione, fornisce supporto anche alla versione più estremista del “come una volta”: non solo non serve andare avanti con la ricerca, ma è meglio tornare indietro.
Il problema è che la teoria è viziata alla base da un presupposto surreale: la situazione attuale della produzione alimentare sarebbe scaturita non da processi storici ai quali ha contribuito la ricerca scientifica, ma da qualche evento forse magico, e per motivi imperscrutabili sarebbe la migliore possibile. Nella versione estremista, invece, la versione migliore possibile daterebbe intorno agli anni dal 20 al 50 dello scorso secolo (come una volta). In quella superestremista, alla preistoria (paleodiete). L’ovvia domanda “come abbiamo fatto ad avere ora alimenti sufficienti per 10 miliardi di persone?” è ignorata. Il fatto che tutti gli studi indichino che globalmente non ci sia alimentati mai meglio di ora e che la quantità e qualità degli alimenti attuali siano in gran parte dovuti ai traguardi raggiunti grazie alla ricerca scientifica in genetica, chimica e medicina è del tutto ignorato. Così come è evidentemente ignorato che interrompere la strada dell’innovazione basata sulla ricerca scientifica sarebbe dunque una pessima scelta, se non si vogliono avere domani brutte sorprese a causa di cambiamenti del clima o conflitti e se si vuole continuare a far fronte all’aumento della popolazione e alle giuste aspettative di miglioramento delle condizioni di vita globali. Gli scienziati ovviamente non potranno fare magie, ma è altrettanto chiaro che anche riguardo sprechi, conflitti e distribuzione non potranno essere fatte magie. A ciascuno il suo mestiere, abbiamo bisogno del contributo di tutti e fermarsi in un modo che cambia è una follia. Ci sono ovviamente ancora grandi margini di miglioramento nella produzione alimentare e produrre di più e meglio a parità di terreno coltivato significa risparmiare gli ambienti naturali, un obiettivo che sarebbe auspicabile perfino in un mondo utopico in cui tutti avessero già un’alimentazione sana ed equilibrata. Soprattutto, non bisogna ingannare i cittadini: il disprezzo dell’opinione degli esperti è molto di moda, ma l’alternativa è l’incompetenza al potere.